ULTIMATUM

di MARCELLO VENEZIANI

 

NOSTALGIA della politica Un tempo, i nostalgici erano per definizione i neofascisti, e in parte i monarchici. Erano conosciuti così, e spesso erano loro stessi a definirsi in quel modo, anche per attutire l’impatto duro e proibito di quella definizione, e per scansare l’uso solitamente dispregiativo che si faceva col prefisso neo. In quel tempo, la nostalgia in politica aveva almeno in Italia quel significato e quell’indirizzo, che veniva anche vagamente associato a uno spirito reazionario, passatista, in alcuni tratti antimoderno. Poi la definizione scomparve, il presente mangiò ogni passato e anche ogni avvenire. Ora è uscito un libro collettano dedicato a La politica della nostalgia che estende il campo dei nostalgici da un punto di vista storico ma anche geografico. Il libro, curato da Cristina Baldassini e Giovanni Belardelli, edito da Marsilio, tratta il passato come sentimento e come ideologia, e si avvale di vari contributi tra cui quelli di Ernesto Galli della Loggia e Stefano De Luca. Ma estende il suo orizzonte all’Urss di un tempo, al populismo sudamericano e al suprematismo bianco americano, oltre che al franchismo e alle nostalgia dell’ancién régime ai tempi della Rivoluzione francese. Ma a ben vedere, la nostalgia è un sentimento che assale oggi pure la sinistra e perfino il ricordo del ’68, il mondo verde che rimpiange il pianeta incontaminato e il sogno stesso della decrescita felice. E sfiora il mondo cattolico, non solo nella nostalgia politica dell’era democristiana, ma anche la Chiesa prima di Bergoglio o prima del Concilio Vaticano II. Ma dietro tutte queste nostalgie, oltre il disagio per il deserto presente e la paura per il minaccioso futuro, c’è un filo comune che le unisce, almeno quelle che si manifestano sul piano collettivo e civile: dietro e dentro la politica della nostalgia si cela in realtà la nostalgia della politica, considerato ormai un regno senza scettro, declassato e degradato, che poco decide e meno rappresenta, e non esprime più idee, principi, valori, speranze. Certo, la nostalgia idealizza e mitizza il passato, e magari non riflette la realtà storica di quel tempo

rimpianto. Ma non falsifica, non inventa dal nulla, semmai adotta una memoria selettiva che ricorda solo le cose migliori e dimentica quelle peggiori; ed enfatizza, ingigantisce i ricordi. Ma non è una falsificazione come sembrano suggerire alcuni autori in questo libro. Il mito non è mai verità storica ma non è nemmeno finzione; indica qualcosa di vivo, di esemplare, di positivo, ed esercita un richiamo etico, come un dover essere o un ideale regolativo a cui attenersi, in cui non si afferma il vero ma il verosimile; non la realtà ma un vivo sentire comune a un popolo, una collettività, una comunità. Certo, la politica non può fondarsi sulla nostalgia, avrebbe il torcicollo, sarebbe incapace di affrontare le sfide presenti, finirebbe con l’inibire l’agire nel culto e nel rimpianto di ciò che è stato. Ma il richiamo alla comune memoria storica, il mito delle origini, la continuità con la storia passata e il ricordo degli eroi e delle pagine migliori della proprie tradizione costituiscono un bene fondamentale e e necessario per dare nobiltà, spessore e fondamento all’agire politico. Ma oltre la dimensione politica, la nostalgia è un conato essenziale per i cuori intelligenti, le menti sensibili, i caratteri più fieri e più inclini alla fedeltà ideale. Nel Convivio Dante dice: “Lo sommo desiderio di ciascuna cosa, e prima da la natura dato, è lo ritornare a lo suo principio” Alla nostalgia non si addice il paragone e il confronto tra le cose di ieri e le cose di oggi; sarebbe improprio e improponibile il salto indietro. Nel rapporto tra gli uomini e le cose il presente vince alla grande sul passato. Non si può aver nostalgia del telefono a gettoni nell’era degli smartphone. Così la nostalgia non può motivare da sola la politica, perché alla politica si addice il presente che si volge al futuro, non il sentimento doloroso del passato che muta in risentimento; per la politica vale la tradizione – che è il senso della continuità, dell’origine, della provenienza e attiene a ciò che è vivo – non il luttuoso rimpianto di quel che non c’è più. Anche perché la nostra memoria ricorda sempre le creste, i punti alti, non i punti bassi o le mediocrità. Ed è inevitabilmente legata al rimpianto di un’epoca in cui eravamo più giovani. Qui la nostalgia ha un inevitabile risvolto biologico e biografico. E un sapore “letterario”. Ma la nostalgia è un sentimento magnifico per l’animo umano, un senso di delicatezza, di struggente ricordo, che vale nella sfera affettiva, nella letteratura e nella biografia amorosa di ciascuno di noi. Nel rapporto col mondo ci

restituisce un profumo, un’atmosfera, un’aura che non attiene alle cose, ma agli occhi e alla mente incantata, come li vedeva e li viveva, magari ancora puerili. E nutriva un orizzonte d’attesa, un’aspettativa di domani, il fervore nascente dell’insaputo… Insomma, coltiviamo pure la nostalgia che è un magnifico esercizio dell’anima, ma non pretendiamo di fondare sulla nostalgia il rapporto col mondo attuale; consideriamolo piuttosto un paradigma ideale, un altro regno, interiore e parallelo, in cui abitare nelle ore calme della sera o negli intervalli languidi della giornata. Meglio nutrire quel che un tempo fu chiamata la nostalgia dell’avvenire, ovvero la fame di quel futuro che è sparito da quando domina un’altra egemonia: la dittatura del momentaneo e del superficiale. Resta la nostalgia come amore dell’origine, memoria dei più cari e passione del ritorno, non come rimpianto del tempo trascorso, del latte versato e delle cose di ieri. A quella nostalgia dell’anima e della mente affiderei volentieri “l’egemonia” spirituale della nostra vita spaesata e disattenta. Quanto alla politica, è bello, giusto e perfino utile attingere ai pozzi antichi della nostalgia; ma non ha senso fondare la politica sulla nostalgia. E’ una ricchezza interiore, da maneggiare in pubblico con cura.