EDITORIALE ON LINE NOVEMBRE Israele e le tifoserie

di GIUSEPPE SANZOTTA

 

Mentre scriviamo, dalle tv e dai resoconti da Gaza e Cisgiordania, arrivano racconti che sanno di morte, di innocenti sacrificati al demone della guerra, di una popolazione civile, sia essa israeliana o palestinese, impotente e vittima. A volte anche involontaria scudo umano per quanti la guerra l’hanno cercata o provocata. Quel conflitto sanguinoso va avanti da anni tra tregue che aprono alla speranza e atti violenti che invece la uccidono. Non faremo macabre classifiche dell’orrore, perché non vogliamo unirci a quanti nel mondo vedono la guerra come una partita di calcio con i tifosi schierati: indulgenti con la propria parte, spietati accusatori della parte avversa. Invece torto e ragione si mescolano, si confondono tra l’agitazione delle tifoserie che sventolano bandiere. Che ripercorrono la storia ognuno partendo da una data, quella giusta per assolvere una parte in causa. Anche fare la storia o la cronaca del conflitto per chi vorrebbe solo ricostruire i fatti diventa difficile. Partiamo dal 1948 oppure da quel drammatico 7 ottobre? Oppure dalla guerra di Suez del ’56, o da quella dei 6 giorni del ’67 ecc.

Allora forse è meglio restare all’attualità. Alla scintilla che ha acceso la miccia dell’ultimo confronto ben sapendo che quella scintilla non ha innestato una guerra in un mondo che viveva in pace. In quella parte del mondo la parola pace è

bandita, la convivenza pacifica tra due popoli è solo il sogno di alcuni inguaribili ottimisti, di quanti, nonostante tutto, si ostinano a pensare che alla fine il bene trionferà sul male. Ci piace iscriverci a questo partito di sognatori che non si arrende, nonostante tutto.

Ma torniamo alla cronaca, quella recente. Hamas fa del terrorismo la propria politica, della distruzione di Israele l’obiettivo finale. Così quel 7 ottobre con quella barbara azione terroristica in cui ha ucciso, seviziato, rapito migliaia di innocenti, voleva il sangue di un popolo ben sapendo che ci sarebbe stata una reazione violenta. Sapendo o sperando che le immagini delle bombe dell’esercito israeliano avrebbero offuscato le immagini delle barbarie compiute in quel tragico 7 ottobre. Soprattutto si sarebbe ricreato un clima nel quale all’odio si sarebbe opposto altro odio. Quella è la cultura che alimenta l’estremismo. L’odio è indispensabile al terrorismo. I vertici di Hamas sanno bene che possono costruire il proprio consenso tra una popolazione che odia perché vittima di bombardamenti e distruzioni. L’odio prende il sopravvento sulla razionalità, sulla ricerca delle ragioni che hanno portato a tanto. Non è un caso che le forze moderate palestinesi non abbiano consenso nella popolazione.

Diversa è la situazione in Israele, soprattutto perché quella è la sola vera democrazia di quell’area. Certamente dopo attentati, che hanno provocato anche qui tante morti innocenti, c’è un sentimento di odio e di rabbia. Ma in una democrazia si ha anche la lucidità per accusare il proprio governo. Non a caso tutti gli osservatori sono certi che il destino politico di Netanyahu sia già scritto. Pur con un paese

in guerra continuano le manifestazioni di protesta contro il governo e il suo capo. Manifestazioni erano in atto da mesi. I generali che guidano l’offensiva israeliana non nascondono la propria contrarietà al governo. Gli Usa, che pure sono impegnati a sostenere militarmente Israele, mostrano fastidio per il comportamento delle autorità politiche di Tel Aviv. E c’è nell’aria un timore, forte. che il conflitto possa allargarsi. Questa guerra ha silenziato il mondo arabo moderato, quello che aveva cercato di avviare un processo di reciproco riconoscimento e dunque di relazioni pacifiche. Ora sono i falchi, l’Iran soprattutto, a far la voce grossa. Non solo, ma c’è il rischio di un coinvolgimento di altri paesi. Tornano in campo i tifosi. Li vediamo contrapporsi nelle strade delle capitali europee, oppure negli Usa. Ma è soprattutto l’ala filopalestinese ad agitare le piazze. E’ una sinistra radicale e non solo a condannare Israele, a schierarsi. Quelle immagini orrende del 7 ottobre sono dimenticate, offuscate al punto che i carnefici diventano vittime. Poi c’è chi invece sceglie l’altra parte senza chiedersi se l’azione per sgominare Hamas potesse essere svolta senza colpire i civili, senza fare strage di innocenti. Ma i tifosi non si pongono queste domande, sono da una parte, quella che considerano ideologicamente più vicina alle proprie idee o ideologie.

Eppure i segnali per una comune preoccupazione ci sarebbero tutti. Israele può contare sul sostegno occidentale, anche se poi la vera forza è rappresentata dagli Usa. Con i palestinesi, perfino con Hamas, oltre ai paesi arabi, ci sono la Russia e perfino la Turchia che benché sia un paese aderente alla Nato, su questa guerra ha fatto una scelta di campo precisa.